TOPOLO’: OVVERO, CHI VE LO FA FARE?
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di Moreno Miorelli
La zia di Barbara mi pare si chiamasse Elisabeth. Aveva fin da
bambina un sogno: la Transiberiana. Lavorò tutta la vita. Allevò i suoi figli.
Giunta la pensione, fattisi adulti i piccoli, iniziò a viaggiare su e giù per
la Transiberiana. Erano gli anni ’70. Di anni lei ne aveva 70. Morì al suo
quinto viaggio in una piccola stazioncina nei pressi di Bajkal. Stava rientrando
per ripartire.
Giorgio è uno dei pochi scampati dal
Vajont. Faceva la seconda media a Longarone nel ’63. Erano 22 in
classe. Rimasero in 3.
Simone è un bambino molto sveglio e
intelligente. A scuola faticano a tenerlo. A Topolò ha aperto il
museo degli oggetti ritrovati. Ha costruito una casa per sé e per i suoi amici
dove c’è una stufa e anche il gabinetto. Aiuta gli artisti a montare le
installazioni. Non si perde nemmeno le presentazioni dei libri. Lo scorso anno
era uno dei sette che hanno resistito dalla mezzanotte alle cinque del mattino
alla proiezione di un film russo con sottotitoli in francese. Tutti primi piani
all’interno di un incrociatore sovietico nel Mar Glaciale Artico d’inverno.
Staccava lo sguardo solo per dare colpetti a un americano che dormiva e russava
al suo fianco e non gli faceva sentire il film bene.
Anton è catalano. Fino a
quindici anni è vissuto senza acqua e senza luce anche se è più giovane di me
che non sono vecchio. Contadini da sempre. Vicino a casa sua c’era, c’è, un
rio. Lui strappava i giunchi e disegnava con l’acqua sulle grandi pietre
piatte di lì. Lavorava per ore così e alla fine si alzava soddisfatto per
avere disegnato metri e metri di sasso e se li riguardava anche se il sole
cancellava tutto in pochi secondi.
Renè
era una promessa nella scultura del suo Paese. La mandavano a simposi
e mostre in tutta Europa, in rappresentanza della giovane, vivace arte della
Nazione. Poi è scoppiata la guerra e lei ha lavorato come volontaria con i
bambini profughi. Non è più riuscita a scolpire. Raccoglie voci. Suggerisce
inquadrature. Siede e ascolta. Chiede di sedere e ascoltare.
Rick
e Jorg quattro anni fa sono arrivati in piazza a Topolò con una grossa moto.
Arrivavano da Wuppertal. Avevano fatto il viaggio perché nella loro
nuova casa appena affittata era giunto l’invito ad una cosa chiamata Stazione
che si fa in Italia in un posto che non è sulle cartine. Il loro indirizzo era
a conoscenza solo delle rispettive madri. Non sono artisti. Due anni fa
realizzarono per Topolò tre interventi molto belli. Sono quattro anni che a
luglio dormono in tenda vicino alla vecchia scuola. Io quell’invito non l’ho
mai spedito.
Lui è un anziano del paese.
Tra i più anziani. Come tutti è molto attaccato ai campi, alla proprietà. Un
giorno è sceso in piazza e si è seduto con la testa bassa e la faccia che non
era la solita. Vicino al suo campo ci sono un paio di ali gigantesche come
fossero l’Angelo che ti porta via tutto e che tutto ciò che hai non è
niente. "Abbiamo sbagliato un sacco di cose. Ci hanno raccontato un sacco
di balle!". Era una installazione di Giuseppino De Cesco.
Una signora
commossa avvicina Giuseppino e gli dice: "Grazie, questa è la nostra
storia. E’ tutta la nostra storia." A me si avvicinano due sbarbi vestiti
di nero con gli occhiali neri, due "addetti ai lavori" per dirmi che
alcuni particolari se invece che in ferro fossero stati in legno "forse
sarebbe stato un buon lavoro".
Lauren a Wellington, in Nuova Zelanda,
lavora con i malati terminali. Costruiscono insieme la bara. La
progettano. La intarsiano. La intagliano. La decorano. E quando il risultato è
ottenuto c’è una grande soddisfazione.
Simone, Cora e Vanessa trovano un pezzo di
pane sotto una panca. Fanno dodici pallottole di mollica e le
dispongono in cerchio, così "gli uccellini possono sapere l’ora".
Lui è tedesco. 30 anni fa entrò
in un grande museo di Berlino Ovest, staccò un quadro del ‘500 dal muro e uscì
di corsa tra le sirene di allarme. Corse per la città con il quadro sotto il
cappotto. Entrò nel quartiere turco, bussò a una porta a caso e gli venne
aperto. Dalla tasca estrasse martello e chiodo; appese il quadro nel tinello del
povero appartamento e, abbracciando il padrone di casa, gli disse "Lavorate
e vivete in Germania, quindi questo quadro, tedesco, è anche vostro". La
polizia lo catturò, ancora nella casa, come lui desiderava accadesse. Fece
galera, dura, e venne espulso dalla Berlino Ovest dei primi anni ’70, che era
la sua città.
Un artista della zona, in visita alla
Stazione, mi raccontò di aver fatto un’ "opera", nella
quale un’immagine della Madonna lasciava intravedere non so quale parte
intima. Ci fu un gran ridere, disse, quando un’anziana religiosa si accostò
al "lavoro", andandosene via tutta rossa in viso. Datazione: primi
anni ’90. A distanza di anni, quel miserabile rideva ancora nel raccontarlo.
Ogni luogo e ogni momento storico hanno la trasgressione che si meritano.
Con i soldi del chiosco, altre
a coprire parte delle spese vive, la comunità di Topolò ha permesso ad alcuni
ragazzi africani di proseguire gli studi nel loro Paese. L’adozione a distanza
è, forse, uno dei modi meno imbarazzanti di aiutare qualcuno in difficoltà. Ma
il paese ha i suoi sfizi e quest’anno ha deciso all’unanimità di acquistare
un intervento: una "casa" a forma di cubo trasparente, posta nel bosco
in faccia al paese. Di notte si illumina grazie a un pannello solare. "E’
proprio bella, è come la vita!". A Topolò (per davvero) non vive alcun
borghese. Solo aristocratici.
Racconta di essere rimasto orfano a 15
anni, sul finire degli anni ’50. Suo padre fu uno dei pochi
superstiti della battaglia di Stalingrado. "Fu un dolore enorme perdere i
genitori ma non potevo non rendermi conto di essere libero. Potevo fare cose
prima impensabili." Pochi giorni fa leggo in un libro di Alda Merini una
frase secca, senza commento: " Per essere poeta non si devono avere
parenti".
"Bravi,
bellissima idea! Sono un pittore. Ho esposto qui e là, se vuole le
porto gli articoli dei giornali. Io e XY (quasi sempre un politico o un ex
politico) ci diamo del tu… Io verrei qui domenica con i miei quadri e li
appendo su questo muro. Vedrai che articolo sul Messaggero!
Ce ditu?"
"No, grazie"
"Ma cosa credi? Questa roba
che avete qui non è mica arte! In un posto così caratteristico ci vogliono i
murales! Coi murales hai gente tutto l’anno!"
"Bravo, vede che ha capito perché non faremo mai un
murales?"
Tre
anziane del paese hanno seguito la scena, molto usuale, da una panca:
"Che pazienza! Ma stai tranquillo che se uno di quelli
lì si avvicina al muro con il pennello, glielo taglio!" E scoppiano a
ridere.
Marija ha 4 anni. E’
nata il 4 luglio 1996, in piena Stazione. Quest’anno, rispetto al ’99, ha
notato " un sacco di gente che non conosco e nuove installazioni e nuovi
musicisti per il mio compleanno…"
Nell’estate del ’97 seguivo i miei
figli (di nascosto a loro) mentre andavano nel bosco a giocare. Come
d’uso anche quell’anno avevo ricevuto telefonate anonime che li minacciavano
di "incidenti", proprio nel bosco. A seguire i soliti "filo-slavo
di merda", " tornatene in Bosnia", eccetera. Quelle rivolte ai
piccoli sono le minacce più odiose, ma loro, i telefonisti, sanno che se
dovesse succedere qualcosa io li ucciderò (i telefonisti). Tutti, compreso
qualche "innocente"; per eccesso di zelo, per vocazione ecologica e
per obbedire a quell’orrendo, biblico istinto, che ci incatena a queste vite.
"Guardati dalla collera del mite". E’ così che non succede mai
nulla da queste parti. Eppure nessuno mi toglie dalla testa che pochi, come i
telefonisti, hanno così profondamente capito chi e perché ce la fa fare, la
Stazione di Topolò.
Patrizio è di Napoli. Da molti
anni lavora a favore della causa del popolo Sahrawi, un popolo in esilio. A
Topolò ha recato con sé parte di uno straordinario archivio fotografico che i
Sahrawi gli hanno affidato. Sono le fotografie trovate nelle tasche dei nemici
uccisi o catturati. Madri, figli, mogli, amici; sguardi sorridenti di gente
semplice, semplice umanità costretta dagli strateghi ad assumere il ruolo di
nemico invasore. I Sahrawi del Fronte Polisario fanno così conoscere la loro
tragedia attraverso la pietas per il nemico; all’odio chiedono che sia
sostituita, o che in ogni caso sempre sovrintenda, la compassione. Questa la
lectio del popolo del deserto, portata a Topolò il 27, 28, 29 giugno 2000.
"Necessità dei volti" il comprensibile titolo.
Quando arriva a Cividale sull’unica
carrozza della littorina è molto provato ma sorride. Fa caldissimo,
non si respira. Fatica a scendere, le ginocchia sono fuori uso, “sono felice
di essere qui!”. E’ arrivato da New York a Milano, poi treni per Venezia e
per Udine e Cividale. Mi scuso per avergli fornito anche gli orari della
Udine-Cividale ma quassù siamo in pochi eccetera…” Sono contento, è un
trenino bellissimo” A Topolò lo raggiunge la compagna, una bella signora
olandese; il giorno della partenza noto che gli porge delle pastiglie, “ deve
prenderle più volte al giorno o il cuore gli si ferma. Non vi ha detto niente,
vero?”
Lauren è giunta a Topolò da Wellington.
Terry, suo fratello, la raggiunge da Honolulu, dove vive. E’ la loro prima
volta in Italia. In tutto hanno due valige, simili tra loro. Quando a Mestre,
durante il viaggio di ritorno, una viene rubata, si guardano sconvolti, aprono
quella rimasta e si abbracciano piangendo per la felicità. La valigia salvatasi
dal furto è quella con le ceneri della madre, mancata da pochi mesi, che
desiderava riposare per sempre in quel paesino del centro Italia, dove i figli
erano diretti, dov’era nata e di cui conosceva solo il nome.
"Nell’altra c’erano
solo vestiti, documenti e un po’ di soldi…"
Barbara è un’artista neozelandese.
E’ rimasta molto legata a Topolò. Agli auguri natalizi aggiunge una
fotografia dove, da un buco del terreno, si vedono emergere due piedi e molto
pubblico intorno, immortalato dalle ginocchia in giù. Dopo 30 anni di pittura,
Barbara alla Stazione aveva "osato" la sua prima, felicissima,
installazione. Rispondo complimentandomi per il coraggio in relazione
all’ulteriore nuova via intrapresa: la performance, come documentato dallo
scatto inviatomi. Un mese dopo ricevo una lettera divertita e di scuse
"Come diavolo è finita tra i bigliettini di auguri la fotografia dei
lavori per l’acquedotto davanti casa?"
Agostina ha più di settant’anni, da
quaranta vive a Topolò. E’ appena uscita dall’ospedale e la
trovo che cammina sotto la pioggia. "Signora, prenda il mio ombrello, si
copra la testa!" "Aah, non serve a niente coprirsi
l’ignoranza!"
Vivono insieme da tre anni in
una grande città tedesca. S. è una ragazza molto bella, intelligente e
curiosa. E’ nata e vissuta in un paese a un chilometro in linea d’aria da
Topolò. Una sera, sulla metropolitana di quella città tedesca, dove doveva
fermarsi pochi mesi, le sembrò di riconoscere un volto già visto…Forse alla
Stazione. Forse è quell’artista. Lo saluto, non lo saluto, lo saluto...
Nel
passaggio tra 1999 e 2000, nel giro di due mesi, quattro funerali a
Topolò: una catastrofe per un paese di 50 abitanti. Negli ultimi sei anni avevo
assistito a due sepolture e cinque nascite. Poi, improvvisamente, il diluvio. Il
paese è molto scosso; l’Assemblea decide che va fatto assolutamente qualcosa,
subito: si pianterà una vite e a piantarla saranno il più anziano, Peppo, e
l’ultima nata, Sofia. Così avviene. L’emorragia si è fermata. Due
settimane fa è nata Marika. E in giro c’è ancora chi mi chiede "come
mai per la Stazione avete scelto proprio Topolò?"
J.
è boemo, è una persona molto semplice ed umile e in grande
semplicità vive in una casa di campagna a qualche chilometro da Praga. Una sera
di tre anni fa, mentre stava cenando insieme alla moglie e ai figli, ha sentito
bussare alla porta di casa. Era una ragazza di 24, 25 anni. La ragazza gli spiegò
di essere sua figlia, una figlia della quale lui stesso non sospettava
l'esistenza, frutto di un flirt giovanile. J. e la sua famiglia abbracciarono la
ragazza e furono così felici di questo nuovo arrivo che fecero tre giorni
ininterrotti di festa con musiche e balli, chiamando tutti gli amici, loro e dei
figli.
Lino è di Topolò. Nei primissimi anni '80, giovanissimo,
ebbe a disposizione una cinepresa super8. Prese a filmare la vita del paese,
animata ed inanimata, filmando momenti qualunque: nel negozio, sulla piazzetta,
tra i prati. Ha filmato momenti apparentemente anonimi, come quelli che di
sguardo la sanno molto lunga, senza intenti cinematografici. Anton, un artista
catalano, ha saputo di questo eccezionale archivio e ha riversato il
fragilissimo materiale super8 su video. A luglio tutti potremo vedere la prima
parte del vero volto e dei veri volti di Topolò com'era.
Durante uno dei suoi viaggi, P.,
si ritrovò a vivere in un'oasi nel deserto cileno di Atacama. La gente del
villaggio era composta da persone religiosissime, osservanti e
straordinariamente ospitali. La festa del santo patrono era, probabilmente è,
la festa più attesa. In quelle 24 ore l'uso è che le persone maggiorenni del
villaggio possono, al riparo da occhi indiscreti, fare all'amore con una persona
che non è nè il marito nè la moglie ma che fa parte, deve fare parte, della
comunità. Questa pratica rinsalda i rapporti tra la popolazione che, sarà un
caso, non conosce furti né omicidi, nè reati passionali. Inutile specificare
che non si tratta di un'orgia e che il giorno dopo, terminata la festività,
mariti e mogli non solo non si guardano in cagnesco ma proseguono la loro vita
con immutato affetto e rispetto. Mi capita di pensare che nell'improponibilità
e nell'impossibilità di gestire una vicenda così nel nostro mondo, stia uno
dei nodi della perdita del sacro.
John per il terzo anno consecutivo
attraverserà l'Atlantico per arrivare a Topolò e ritornarsene a New
York. Quest'anno ricostruirà una fontana chiusa da anni e che verrà riaperta.
L'anno scorso ha inaugurato con una targhetta l'Accademia Americana di Arti e
Architettura. Annessa all'immaginaria Accademia ci sarà, a partire da luglio,
una Biblioteca, reale, alla quale lui stesso fornirà un certo numero di libri.
Gli altri libri verranno donati dagli artisti passati, presenti e futuri della
Stazione. Ognuno donerà, se lo vorrà, un solo libro, non di più, ma "il
libro", quello da portarsi sull'isola deserta, quello che ognuno ritiene
essere stato il più importante per la propria formazione. La Biblioteca sarà
di pubblica consultazione, sita in una delle case che durante l'anno restano
vuote.
Grazie a una legge europea, a Topolò
sono state restaurate 9 case da adibire a fini turistici. L'estate è il momento
di maggiore richiesta: a molti piace fare le vacanze a Topolò e così c'è
anche un moderato ma incoraggiante flusso economico. Ma se molte case sono per i
turisti (paganti), dove mettere le decine di artisti (non paganti) che abitano
il paese per buona parte del mese di luglio? 9 sono i proprietari, tutti diversi
tra loro, tutti con un'idea diversa riguardo la vita, i soldi, la politica.
Tutti e 9 hanno detto anche quest'anno: " prima gli artisti! "
E c'è
ancora chi mi chiede, "ma perchè la Stazione la fate a Topolò e non a...?"
Un giorno d'inverno passeggiando per Topolò
ho visto due bambini del paese concentratissimi e in silenzio. Erano sulla
soglia di una casa vuota e muovevano lentissimamente la porta facendola
cigolare. Per diversi minuti li ho guardati poi ho chiesto loro cosa facessero.
"Ssst! stiamo facendo un concerto. Senti che suono che fa questa porta!
Prima è stato bellissimo perchè qualcuno nel bosco usava la motosega!"
Vlado è stato richiamato
dall’esercito croato nel ’93. Artista e storico dell’arte, non
disertò ma si rifiutò di sparare. Andava avanti con gli altri, impugnando solo
la macchina fotografica e mitragliando si scatti "amici" e
"nemici". Tutti e due concordavano nello sparargli addosso.
Peter è un poeta molto noto nel suo Paese.
Da molto, da troppo, non riusciva a scrivere un solo verso. Afasia totale. A
Topolò, nella Sala d’Aspetto, lesse alcune sue vecchie opere. Il mattino
seguente, in una camera che dà sulla Piazzetta, saltò il tappo: scrisse una
poesia dedicata al paese e altre di seguito. Un mese fa ha ricevuto il premio
Preseren, la massima onorificenza culturale slovena, per la sua opera poetica.
Lui è tedesco. Trent’anni fa
fece una lunga indagine fotografica in Sardegna, per la Polaroid. In
quell’immagine aveva sempre al suo fianco come guida e aiutante un ragazzo del
luogo che divenne, in quei mesi, come un fratello. Poi si persero di vista.
Quest’estate a Topolò, lui si mise a chiacchierare con un giovane, sardo,
venuto a vivere nelle Valli. Il giovane, di domanda in domanda, scoprì che il
ragazzo di trent’anni fa era suo padre.
Nell’eterno gioco tra guardie, ladri e
affini, a Napoli un giorno si inserì B., 40 anni, pediatra. Occupò
con dei ragazzi una vecchia scuola abbandonata, in un Bronx di periferia e la
ristrutturarono. Raccolsero all’interno 2.500 siringhe usate. Organizzarono
teatri, laboratori, concerti. Era l’ottantanove e si diedero nome
Tienamment’. Fecero crollare il mercato degli stupefacenti nel quartiere: i
ragazzi ora avevano di meglio. La camorra bruciò due volte i locali: loro
ricostruirono. Il Comune tentò due volte lo sgombero: loro lo impedirono.
Quando B. con alcuni dei ragazzi venne alla Stazione, nel '95, era appena uscito
dall'ospedale: alcuni skin heads lo avevano sprangato in testa, di notte.
Il
Tienamment’ è stato chiuso dalla polizia, per ordine del sindaco, nel ’96,
per occupazione abusiva o forse perché nell’eterno gioco tra guardie, ladri,
teppisti e spacciatori non è prevista la figura dell’Angelo.
C’è
un filo che lega Topolò ai cavalli. Galoppando in Internet si
scoprono le imprese di un trottatore, Topolò, che gareggia spesso tra gli
ippodromi del Nord.
Alle ultime Olimpiadi di Sidney, uno dei favoriti nella specialità del
dressage montava un cavallo a nome Julian Dashper. Julian Dashper, artista
neozelandese, ha partecipato a più edizioni della Stazione; ogni anno ci
consiglia uno o più artisti. A luglio tornerà. Il cavaliere olimpico è un suo
affezionato collezionista.
Un
giorno vidi una bambina di cinque anni spalancare le braccia davanti
a un ciliegio in fiore ed esclamare " Beato lui!".
Quella che per
tutti è Stazione di Topolò-Postaja Topolove, per la gente del paese è
semplicemente "la Festa"
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